14 Mar Tribunale di Milano: sì al danno patrimoniale in caso di decesso di una casalinga

In caso di decesso di una persona a seguito di un sinistro, i familiari più stretti della vittima hanno diritto, come è noto, al riconoscimento del c.d. danno da “perdita del rapporto parentale”, il cui importo di norma si calcola, secondo determinati parametri, utilizzando le Tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.

Tale risarcimento ha carattere “non patrimoniale” in quanto tende a dare ristoro al dolore per la perdita di un affetto. I componenti della famiglia tuttavia, possono altresì subire un danno di carattere patrimoniale dalla perdita del proprio caro. Solitamente si tende a ritenere che tale danno debba essere inteso come quella parte di reddito che la persona deceduta metteva a disposizione del menage familiare e, quindi, secondo taluni, dovrebbe riguardare solamente quelle persone che, al momento del decesso fossero concretamente percettori di un reddito, derivasse esso da lavoro dipendente o autonomo.

Esistono però persone che, pur non svolgendo alcuna attività retribuita, contribuiscono in ogni caso all’economia della famiglia con la propria attività. Il caso tipico è quello della donna casalinga, che attende alla casa e alla cura dei figli, occupandosi della gestione dell’organizzazione quotidiana della famiglia.

Ebbene, la Decima Sezione Civile del Tribunale di Milano, con sentenza del’11 febbraio 2016, ha riconosciuto al marito di una casalinga deceduta, il danno patrimoniale per la perdita dell’apporto economico che la donna dava alla famiglia.

Il ragionamento del giudice meneghino è molto semplice. Si trattava di una famiglia composta da padre, madre e due figli piccoli. La madre non percepiva alcun reddito ma si occupava dei figli, li portava a scuola, faceva la spesa, cucinava, teneva la casa pulita. Tutte attività normalmente svolte da qualunque casalinga.

Il venire meno di tale apporto, rappresenta un danno, in quanto il marito lavoratore, rimasto solo con due figli piccoli, dovrà assumere una collaboratrice familiare per sopperire al lavoro che svolgeva in casa la moglie deceduta. Si tratta dunque di un danno futuro, che è stato quantificato tenendo conto del costo medio di mercato di una collaboratrice domestica.

Ovviamente il Giudice ha effettuato il calcolo del danno solamente per un periodo di anni determinati, ossia fino alla maggiore età dei figli. Tra l’altro il tribunale ha tenuto a precisare che tale voce di danno non deve affatto essere confusa con la perdita del rapporto parentale e non debba quindi essere riconosciuto se “inteso a colmare il vuoto incolmabile lasciato da una madre e da una moglie” atteso che tale pregiudizio è già valutato in sede di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.

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