04 Gen Illegittimità del licenziamento del lavoratore che applica sconti ad un cliente di riguardo

È quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la Sentenza n. 22074 del 13 ottobre 2020, ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dirigente di un supermercato per aver praticato sconti ad un cliente di riguardo.

Nel caso in esame il lavoratore, responsabile di un punto vendita della società, impugnava giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli dal datore di lavoro per aver praticato, nel dicembre 2015, un forte sconto in favore di uno storico cliente che ogni anno, nel periodo natalizio, era solito effettuare numerosi acquisti per i regali d’uso aziendale.

La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda del dipendente sul presupposto che con la sua condotta – in alcun modo occultata – lo stesso non aveva riportato alcun vantaggio personale.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il datore di lavoro che, con unico motivo, denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 100 C.C.N.L. terziario (commercio) per insussistenza del potere del dipendente inquadrato nel primo livello contrattuale di praticare sconti alla clientela, ancorché si tratti di clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per l’azienda.

La Suprema Corte, nel confermare quanto stabilito nell’impugnata sentenza, ha puntualizzato che la scelta del dirigente – cui la contrattazione collettiva riconosce delle prerogative di iniziativa ed autonomia operativa – rientrava tra i poteri ad esso assegnati in quanto finalizzata esclusivamente all’interesse aziendale e non, invece, come affermato dal datore, ad un guadagno personale.

Nel caso di specie, quindi, i giudici di legittimità non hanno individuato una lesione del vincolo fiduciario non avendo il dipendente con la sua condotta riportato alcun vantaggio personale.

Secondo gli Ermellini, infatti, la condotta del dipendente avrebbe potuto risultare illecita e, quindi, disciplinarmente rilevante solo nel caso in cui la stessa fosse stata attuata dal lavoratore per ottenere un vantaggio personale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso della società, confermando l’illegittimità del recesso dalla stessa irrogato.

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