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30 Mag Concorrenza sleale: la Cassazione a proposito dei marchi popolari
La Corte di Cassazione ha espresso il suo orientamento in materia di concorrenza sleale. In particolare quando riguarda i marchi celebri.
Avendo raggiunto un livello di notorietà particolarmente alto, questi portano con sè il valore aggiunto dei prodotti a cui sono collegati, diventando per i consumatori sinonimo di qualità. Godendo di questo status il marchio ha una tutela maggiore rispetto agli altri: il titolare può impedire che questo venga usato da altre aziende su prodotti della stessa categoria merceologica e da oggi anche sui prodotti affini.
Con la sentenza n. 13090 del 27.05.2013 la Suprema Corte ha formalizzato la posizione giuridica dell’azienda che usa, senza consenso del titolare, il marchio celebre anche su prodotti di categoria merceologica diversa.
La sentenza è stata pronunciata contro due aziende italiane, colpevoli di aver usato il noto marchio di una griffe inglese sui propri prodotti di cancelleria, difendendosi sostenendo che non vi potrebbe essere tutela del marchio (e quindi concorrenza sleale) quando lo stesso marchio viene apposto su prodotti di classi merceologiche diverse.
La sentenza recita però che i marchi che godono di una certa notorietà, in grado di fornire con il solo logo l’informazione della qualità del prodotto, vengono protetti non solo nei confronti dei prodotti uguali o strettamente affini, ma appunto anche nel caso di prodotti completamente diversi.
La Cassazione ha tenuto conto del pericolo che corre il consumatore medio di cadere in confusione, attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione di altri prodotti,o comunque ritenendo l’esistenza di legami giuridici od economici tra le due imprese che in realtà non esistono.
Divulgando il marchio noto si rende partecipe il pubblico della stessa provenienza dei due diversi prodotti. Così il successo del prodotto è garantito, in parte per le sue qualità intrinseche, ma soprattutto dalla celebrità che la fonte produttiva originale ha acquisito nel tempo.
L’unico caso ammesso dalla legge, ad oggi, è quello in cui i due prodotti appartengano a categorie merceologiche rilevantemente distanti l’una dall’altra, oppure nel caso che le due parti siano altamente specializzate.
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