29 Giu Dalla Cassazione un nuovo orientamento sui danni che influiscono sul lavoro

A volte basta un incidente a modificare integralmente la vita di un individuo. Ci sono casi in cui un sinistro può causare una riduzione della capacità ad attendere pienamente alle proprie mansioni lavorative.

Al tal proposito  la giurisprudenza ha sempre operato una netta distinzione tra “capacità lavorativa generica” e “capacità lavorativa specifica”, precisando che mentre la prima rende più faticoso l’espletamento di una mansione lavorativa, senza tuttavia impedirne il pieno svolgimento la seconda invece comporta una riduzione percentuale della capacità di compiere quella specifica attività lavorativa che appartiene al soggetto danneggiato. Tale distinzione è fondamentale. Mentre, infatti la capacità lavorativa generica è stata inserita nell’alveo del danno biologico quale aggravamento del medesimo ma senza incidenza sulla possibilità di produrre reddito, la seconda, invece incidendo sulla specifica capacità di guadagno è stata considerata un danno patrimoniale. Del tutto differente è dunque quest’ultima,anche in ordine agli elementi di accertamento della sua sussistenza, rispetto alla capacità lavorativa generica.

Nel concreto un operaio edile che subisce una lesione ad una gamba che tuttavia gli permette di svolgere ancora pienamente il proprio lavoro, accusando solo un affaticamento maggiore, avrà tendenzialmente subìto un danno alla capacità lavorativa generica (c.d. cenestesi lavorativa); di contro, ove la lesione alla gamba fosse tale da impedire all’operaio di salire sui ponteggi di un cantiere, per esempio,  allora potrebbe concretizzarsi l’ipotesi di un vero e proprio danno alla capacità lavorativa specifica e dunque alla capacità di guadagno.

Con la sentenza n. 12211 del 12 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha rivisitato il concetto di capacità lavorativa generica e, in particolare, la sua natura di danno prettamente psico-fisico e dunque estraneo alla capacità di produrre reddito.

In particolare, è stato precisato che anche la perdita o la riduzione della capacità lavorativa generica può essere fonte di un danno patrimoniale, allorquando il grado di invalidità accertato sul danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere anche ad altri lavori, comunque confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito.

In buona sostanza, quell’operaio edile di cui si è detto, il quale abbia riportato una lesione che renda solamente più “difficoltosa” la sua attività lavorativa, potrebbe in realtà non essere più in grado di svolgere pienamente altri tipi di mestieri manuali, e dunque, potrebbe vedersi riconosciuto anche un danno patrimoniale dovuto a quella “limitazione” alla sua possibilità di accettare altri lavori confacenti alle sue capacità, più remunerativi, ma che richiedano mansioni diverse seppur affini a quelle svolte all’epoca del verificarsi del sinistro. Si tratta indubbiamente di un intervento giurisprudenziale interessante, che tuttavia, se male interpretato, rischia di confondere i netti confini stratificati delle due capacità lavorative. Bisognerà dunque verificare se, e in che modo,  i Tribunali recepiranno tale nuova interpretazione.

 

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