10 Dic Capacità successoria e indegnità.

La capacità di succedere è l’idoneità di una persona fisica a poter diventare erede di una persona defunta ed è disciplinata dall’art. 462 c.c., a norma del quale: “Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione. Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell’apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta. Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti”.

Per essere idonei a ricevere un’eredità pertanto basta essere nati o persino solo concepiti. Ma ad ogni modo dalla lettura della norma si evince che il terzo comma invece contempla un caso eccezionale in cui la capacità di succedere è riconosciuta anche a una persona non solo non ancora nata, ma addirittura non ancora concepita.

Fermo quanto sopra occorre a questo punto precisare che alcune persone, se pur teoricamente capaci di succedere ex art. 462 c.c., non possono accedere all’eredità del de cuius perché ritenute indegne.

Gli indegni sono persone che hanno commesso atti particolarmente gravi contro il defunto o contro i suoi congiunti e sono perentoriamente elencati dall’art. 463 c.c., per il quale è indegno a succedere:

  • chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente (figlio o nipote), o un ascendente (genitore o nonno) dello stesso defunto, a meno che la punibilità dell’omicida sia esclusa a norma della legge penale;
  • chi ha commesso, ai danni di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio;
  • chi ha calunniosamente denunciato una di tali persone per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la calunnia è stata accertata in un giudizio penale; è altresì indegno chi ha falsamente testimoniato contro una di tali persone imputate per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la falsa testimonianza è stata accertata in un giudizio penale;
  • il padre o la madre che ha perso la responsabilità genitoriale nei confronti del figlio, a meno che – alla data della morte del figlio – il genitore non fosse stato reintegrato;
  • chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ha impedito alla persona di fare testamento;
  • chi ha soppresso, celato o alterato il testamento di una persona;
  • chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto consapevolmente uso.

Un’interessante pronuncia della Suprema Corte, la n. 17870 del 03 luglio 2019, ha chiarito che nel procedimento promosso per far accertare l’indegnità di un erede, per l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia sottratto il testamento, l’attore ha l’onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre grava sul convenuto la prova dell’intrinseca natura del documento e del suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore.

 

 

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