30 Gen “Danno biologico” e “danno dinamico-relazionale” tra identità semantica ed autonomo apprezzamento medico-legale

In materia di “danno non patrimoniale” le indicazioni normative, non molte, forniscono definizioni spesso laconiche e poco esaustive, tali da aver ingenerato nella prassi giurisprudenziale di merito un diffuso utilizzo di locuzioni identiche tra loro ma con l’attribuzione delle più disparate accezioni e di molteplici significati.

Alla luce della più recente esperienza giudiziale, appare dunque preziosissimo il recente intervento della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 7513 del 27 marzo 2018, invitando trasversalmente gli operatori del diritto ad una maggiore rigorosità linguistica, ha fatto chiarezza sull’espressione “danno dinamico-relazionale” e sulla sua sempre più spesso paventata natura di autonoma “voce di danno”, altra ed ulteriore rispetto a quella del c.d. “danno biologico”.

Ebbene, precisano gli Ermellini, ad un attento e congiunto esame dell’evoluzione normativa in subiecta materia, in particolare degli artt. 13 del D. Lgs. n. 38/2000 e 5 della L. n. 57/2001 (poi confluita nell’art 139 del D. Lgs. 209 del 2005 – “Codice delle Assicurazioni private”), emerge con sufficiente chiarezza che l’intenzione del legislatore, in entrambi i casi, non era quella di fornire alla “compromissione degli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana” una natura valutativa autonoma, rispetto alla menomazione all’integrità psico-fisica dalla quale essa discende ma, più opportunamente, la ratio legis era quella di fornire un’unica categoria di danno, il “danno biologico” che racchiudesse in sé la sintesi di tutte le conseguenze “ordinarie” che una determinata menomazione si presume produca sulle comuni attività quotidiane di ogni individuo.

In altre parole, sostiene la Suprema Corte, il grado d’invalidità permanente determinato in base ad apposite tabelle predisposte con criteri medico-legali ed imposte dalla legge quale criterio valutativo del danno occorso alla persona (baréme), esprime una valutazione già comprensiva del prevedibile pregiudizio che la sopraggiunta impossibilità di attendere alle normali attività quotidiane produrrebbe in casi consimili su una persona sana della medesima età e del medesimo genere. Pertanto, un ulteriore aumento percentuale del danno così determinato, operato con l’intento di risarcire il danno “danno dinamico- relazionale” (id est “danno morale” o “danno alla vita di relazione” ecc…), alla luce della sentenza in commento, non può che risultare una illegittima duplicazione risarcitoria.

Tale impostazione dogmatica, tuttavia, non deve indurre a credere che non sia astrattamente configurabile un’ulteriore voce di danno che sfugga alla pur onnicomprensiva area applicativa della figura del “danno biologico”. In effetti, resta possibile che una persona patisca conseguenze difformi dalla comune e generale esperienza in occasione di una lesione alla propria integrità psico-fisica. Di conseguenza, la sentenza in commento individua due distinte tipologie di sofferenze “non patrimoniali” quali possibili conseguenze del danno alla persona: quelle necessariamente comuni a tutte le persone per il medesimo tipo di invalidità (id quod plerumque accidit); e quelle “peculiari” del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla persona, in quel particolare caso, “diverso e maggiore” rispetto ai casi consimili. Solo in quest’ultimo caso sarà legittimamente ed autonomamente risarcibile un ulteriore voce di danno, la liquidazione della quale, però, presuppone necessariamente una prova autonoma e concreta dell’effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto.

Al di fuori di tali eccezionali circostanze, dunque, nulla dovrà aggiungersi alla normale stima del “danno biologico” essendosi in essa già ricompresa ed apprezzata ogni ordinaria conseguenza della menomazione subita sulle attività quotidiane e di relazione dell’individuo.

Riferimenti

  1. Art. 13 co. II del D. Lgs. n. 38/2000 2. Art. 139 D. Lgs 209/2005 e ss. mm.
  2. Cass. Sez. III, ord. n. 7513 del 27 marzo 2018
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