09 Set Danno da fermo tecnico: deve essere provato o sussiste in re ipsa?
Con l’Ordinanza n. 9348 del 4 aprile 2019 la Corte di Cassazione Civile è tornata ancora una volta ad affrontare il tema del risarcimento del c.d. danno da fermo tecnico.
Il caso esaminato dal Supremo Collegio prende le mosse da un tipico sinistro stradale: durante una manovra in retromarcia, un’auto travolge un motociclo regolarmente parcheggiato cagionando danni materiali; la proprietaria, quindi, naturalmente agisce in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno occorso al proprio mezzo. Ritenendo altresì di aver patito, oltre ai danni materiali, un pregiudizio a causa del fermo tecnico del ciclomotore – durato per tre giorni – richiede la condanna del responsabile anche per detta ulteriore voce di danno.
In primo ed in secondo grado la richiesta attorea viene rigettata; interviene da ultimo la Cassazione che si pronuncia nuovamente su tale annosa questione e chiarisce quando sia ammissibile il risarcimento per questa tipologia di pregiudizio.
Orbene, come noto, il c.d. danno da fermo tecnico consiste nel nocumento subito dal danneggiato per la perdita della materiale disponibilità del mezzo nel tempo necessario alla riparazione del mezzo, da cui deriva l’impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile.
Ed è parimenti noto come la quantificazione del danno da fermo tecnico e la sua risarcibilità è stata spesso motivo di dibattito in sede giurisprudenziale con riguardo – soprattutto – alla sua prova in sede stragiudiziale e giudiziale.
Proprio con riguardo alla quantificazione e all’attestazione del danno per la sosta obbligatoria – se deve considerarsi in re ipsa per il solo fatto del mancato utilizzo del mezzo incidentato ovvero se è necessaria una esplicita prova in merito alla effettiva e comprovata necessità ed indispensabilità del mezzo sostitutivo – si sono susseguite diverse pronunce della Corte di Cassazione.
Per un lungo periodo infatti, si è visto affermarsi presso la Corte di legittimità l’orientamento che riteneva possibile “la liquidazione equitativa del danno (da fermo tecnico) anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato” (cfr. Cassazione Civile, Sez. III Sentenza n. 6907/2012).
Si riteneva in altri termini che l’autoveicolo – anche durante la sosta forzata – fosse, di fatto, fonte di spese per il proprietario (tassa di circolazione, premio di assicurazione) oltre che soggetto ad un deprezzamento del proprio valore commerciale (cfr. Cassazione Civile, Sez. III Sentenza n. 23916/2006; cfr. Cassazione Civile, Sez. III Sentenza n. 1688/2010).
Secondo tale primo orientamento, dunque, il danno discendeva dalla perdita della disponibilità del mezzo e dall’impossibilità di goderne: il pregiudizio patrimoniale dunque, si riconnetteva alla perdita temporanea delle utilità normalmente conseguibili nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità che il proprietario subiva.
Si trattava dunque, di una presunzione iuris tantum con danno in re ipsa.
Pur tuttavia, recentemente, la Suprema Corte con la celebre Sentenza n. 20626/2015 ha avuto un mutamento di tendenza, ad oggi piuttosto acclarato e consolidato, ritenendo invero che “..il danno da fermo tecnico di veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato e la relativa prova non può avere ad oggetto la mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall’uso del mezzo” (conf. Cassazione Civile, Sez. III Sentenza n. 9651/2016).
Con la celebre pronuncia, dunque, la Corte indica le premesse su cui si fonda tale conclusione:
- Il danno in re ipsa non può trovare ingresso nel nostro Ordinamento;
- La liquidazione equitativa del danno da parte del giudice non può sopperire alla mancata allegazione probatoria: prima è necessario acclarare la “consistenza onotologica” del danno e, solo dopo, procedere alla sua quantificazione equitativa;
- Per quanto attiene invece, alle spese di assicurazione medio tempore sopportate dal proprietario del mezzo non possono ritenersi “inutilmente pagate” secondo la Suprema Corte atteso che le prime possono essere anche sospese dal proprietario stesso mentre per ciò che attiene al c.d. “bollo” si prescinde dall’uso del veicolo poiché è una tassa di proprietà.
Orbene con la recente pronuncia – Ordinanza n. 9348 del 4 aprile 2019 – la Corte di Cassazione Civile non ha fatto altro che dare ulteriore conferma al suddetto orientamento giurisprudenziale confermando in sostanza che in caso di sinistro stradale, il c.d. danno da fermo tecnico – ossia quello che si concreta nell’impossibilità temporanea di utilizzare il veicolo – non è presunto, ma va provato.
Prova che con riferimento al caso di specie, non era stata fornita con inevitabile reiezione della domanda.
Nel nostro ordinamento, infatti, precisa la Corte – riprendendo il suindicato orientamento – “non trovano ingresso i danni in re ipsa e grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il pregiudizio subito. In particolare, il danno non può desumersi dalla mera circostanza dell’indisponibilità del mezzo né dal pagamento della tassa di circolazione (che prescinde dall’uso del veicolo) e delle spese assicurative (che possono essere sospese); infine il deprezzamento del bene non è legato causalmente al fermo tecnico ma alla necessità di procedere alla riparazione del mezzo”.
Ciò che rileva dunque, seguendo il percorso argomentativo degli Ermellini è il danno conseguenza che deve essere allegato e provato; pertanto, è da disattendere la tesi che considera il danno come presunto, perché ragionando in tal modo si snaturerebbe la stessa funzione tipica del risarcimento che verrebbe riconosciuto “..non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”.
Una ulteriore conferma del principio tipico del nostro ordinamento giuridico: “Iudex iuxta alligata ed probata iudicare debet”.
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