30 Giu Danno da incapacità lavorativa generica: tra onere probatorio e presunzione
Un illecito lesivo dell’integrità psico – fisica della persona può determinare come noto, anche un danno da incapacità lavorativa, un pregiudizio complesso che nel tempo è stato più volte sottoposto al vaglio della Suprema Corte.
Al suo interno, infatti, devono distinguersi due voci: incapacità lavorativa generica ed incapacità lavorativa specifica.
Se per incapacità lavorativa generica si intende la potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto, la relativa riduzione o perdita è definita dalla giurisprudenza come “la sopravvenuta invalidità del soggetto danneggiato allo svolgimento delle attività lavorative che, in base alle condizioni fisiche, alla preparazione professionale e culturale sarebbe stato in grado di svolgere” (Cass. Sent. 9 marzo 2001. N. 3519). Laddove invece, per incapacità lavorativa specifica si intende la capacità di un individuo a svolgere una specifica attività lavorativa, quella di fatto esercitata, sussistendo, quindi, quest’ultimo tipo di pregiudizio allorquando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro; ovvero – nel caso in cui non fosse percettore di reddito – non possa più aspirare ad ottenere quel livello reddituale che avrebbe verosimilmente raggiunto in assenza della lesione; ovvero, infine, nel caso cui alleghi e dimostri – con probabilità non trascurabile – che, a causa del sinistro subito, abbia perduto la possibilità di conseguire un risultato favorevole sperato ed impedito dalla condotta illecita subita.(cfr. Cass. civ., sez. lav., 08 ottobre 2007, n. 21014; Cass. civ., sez. III, 29 ottobre 2001 n. 13409; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001 n. 10289)
Ed è proprio in questo ambito che si pone un annoso quesito: provata la riduzione della capacità di lavoro specifica è possibile presumere una riduzione anche della generica capacità di guadagno del singolo?
Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 15 giugno 2018, n. 15737 la quale, confermando un precedente orientamento, ha così statuito “Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica e il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché provata la riduzione della capacità lavorativa specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di lieve entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l’an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo specifico ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito”.
Deriva da ciò dunque, che il danno patrimoniale futuro deve essere valutato su base prognostica.
Sicché, laddove sia stata fornita la prova della incidenza dei postumi invalidanti ai fini dello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa ne deriva per presunzione anche il venir meno della capacità lavorativa generica, intesa come idonea a consentire al danneggiato di conseguire un reddito equivalente a quello che gli garantiva il lavoro già svolto.
Evidente dunque, l’importante ripercussione che detta pronuncia potrà avere nella valutazione della esistenza del danno da incapacità lavorativa generica ora ipotizzabile anche in via presuntiva.
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