Internazionalizzazione: Fiscalità internazionale

20 Ott Internazionalizzazione: Fiscalità internazionale

Lo svolgimento di un’attività economica all’estero da parte di un operatore economico italiano può essere effettuato attraverso l’apertura di una stabile organizzazione formale (nella prassi definita con il termine anglosassone di branch) ovvero attraverso la costituzione di una società in loco partecipata, integralmente o meno, dalla società madre italiana.

In alcuni casi, la normativa locale non consente la costituzione da parte di un soggetto economico estero di società operative controllate integralmente da quest’ultimo ma richiede la presenza, nella compagine sociale, di un socio locale che in alcuni casi deve detenere una partecipazione di maggioranza (almeno formale) nel capitale sociale della costituenda società.

La branch non costituisce un soggetto autonomo di diritto rispetto alla casa madre, benché essa sia assoggettata ad imposizione nello Stato estero ove l’attività economica è esercitata. L’articolo 5 del modello OCSE, trasposto in Italia nell’articolo 162 del Tuir, identifica la branch come “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato”.

Con riferimento ad una stabile organizzazione di un’impresa italiana all’estero, si evidenzia che (in mancanza di autonomia giuridica della branch) i costi, i ricavi ed eventualmente le rimanenze della stabile organizzazione divengono parte integrante del bilancio della società italiana e concorrono alla formazione del suo reddito imponibile. Dal punto di vista contabile, è previsto l’obbligo (articolo 14 del D.P.R. 600 del 1973) di rilevare i fatti di gestione relativi all’esercizio della stabile organizzazione con determinazione separata dei risultati della gestione ad essa riferibili.

Viene riconosciuto in Italia un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in via definitiva relativamente al reddito prodotto dalla stabile organizzazione (art. 165 del Tuir). Non essendo la stabile organizzazione un soggetto giuridicamente distinto rispetto alla casa madre, non è generalmente prevista l’applicazione di ritenute alla fonte sui profitti (netti) che sono attribuiti dalla stabile organizzazione alla propria casa madre, applicazione che, come vedremo è invece prevista – ma in taluni casi attenuata o eliminata in forza di apposite clausole pattizie – nel caso di distribuzione di dividendi da parte di una controllata estera alla partecipante italiana.

Data la mancanza di soggettività giuridica della stabile organizzazione, a fronte della contabilizzazione dei profitti da questa generati, come differenza – positiva – tra ricavi e costi, si evidenzia che qualora la stabile organizzazione sia in perdita (differenza negativa tra ricavi e costi) essa avrà una diretta rilevanza nei conti della casa madre italiana.

Tra i vantaggi della stabile organizzazione, si può indicare la possibilità, prevista dall’articolo 12 del D.Lgsl. 446/1997, di scomputare dalla base imponibile della casa madre la quota di reddito attribuibile alla stabile organizzazione situata all’estero. Ciò, naturalmente, in conseguenza della diretta contabilizzazione delle componenti positive e negative di reddito della stabile organizzazione nella contabilità della casa madre. D’altro canto, c’è da evidenziare, tra gli aspetti negativi dell’operare attraverso una stabile organizzazione, la possibilità che si manifesti una doppia imposizione a causa delle diverse regole di determinazione del reddito, nonché la necessità di duplicare gli obblighi contabili e fiscali derivanti dall’applicazione, da un lato, delle regole e delle procedure contabili (oltre che della lingua) del Paese estero in cui la stabile organizzazione opera e di quelle italiane dall’altro.
Un ulteriore aspetto di assoluto rilievo è dato dalla eventuale cessione a terzi delle attività d’impresa esercitate all’estero per il tramite della stabile organizzazione.

In tal caso, infatti, non essendo essa dotata di autonomia giuridica e patrimoniale, l’eventuale cessione sarebbe integralmente assoggettabile a tassazione in capo alla società madre italiana come differenza tra i valori fiscalmente ammessi in bilancio (rimanenze di magazzino, eventuali immobilizzazioni materiali ed immateriali attribuibili alla stabile organizzazione) e il prezzo di cessione.

Qualora, invece, si decidesse di operare all’estero attraverso una società partecipata, si evidenzia come essa sia dotata di piena autonomia giuridica e fiscale, per cui il reddito da essa prodotto viene assoggettato a tassazione esclusivamente nel Paese estero di residenza.
Ad eccezione del caso in cui la società sia residente o domiciliata in un Paese a fiscalità privilegiata, il dividendo eventualmente distribuito dalla partecipata estera alla società italiana partecipante è imponibile nel limite del 5% del suo importo, con aliquota Ires del 27,5%. I dividendi non rientrano nella base imponibile ai fini Irap. Ciò si traduce, a tutti gli effetti, in un’imposizione pari all 1,375% (27,5%*5%).
Anche la plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione è soggetta ad imposizione, qualora ricorrano le condizioni previste dall’articolo 87 del Tuir3, nei limiti del 5%, generando una tassazione effettiva dell’1,375%.

Come indicato in precedenza, le regole sopra illustrate non si applicano nel caso in cui la società partecipata sia residente o domiciliata in un paese cosiddetto “black listed”.
In tal caso, infatti, le regole contenute negli articoli 167 e 168 del Tuir (rispettivamente, disposizioni in materia di imprese estere controllate e disposizioni in materia di imprese estere collegate) prevedono la tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle controllate ivi residenti, indipendentemente dalla effettiva distribuzione degli utili. Naturalmente, al momento della effettiva distribuzione, essi non saranno di nuovo assoggettati a tassazione.
Per evitare che i profitti siano direttamente attribuiti alla società partecipante, in ossequio al principio cosiddetto della trasparenza fiscale, è necessario che venga accolta apposita istanza di interpello disapplicativo, atto a dimostrare che “la società o altro ente non residente svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento”. È quindi necessario, come anche confermato dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate, che la società sia effettivamente “radicata” nel tessuto economico del Paese in cui opera.
In alternativa alla dimostrazione della effettiva attività svolta in loco, è possibile per il contribuente dimostrare che dalla localizzazione della partecipata non consegue la localizzazione dei redditi in un Paese a fiscalità privilegiata. Ciò, naturalmente, rileva solo nei casi in cui la partecipata sia residente in paesi diversi da quelli “black listed”.

Ma ciò non è sufficiente. Infatti, non è possibile fare ricorso all’esimente di cui al comma 1 dell’articolo 167, qualora la società partecipata consegua più del 50% dei propri redditi “dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari”.

Alle norme di cui ai paragrafi precedenti si applica la disciplina specifica sui prezzi di trasferimento (transfer pricing – articolo 110, comma 7 del Tuir), in base alla quale il prezzo a cui sono scambiati beni e servizi tra imprese controllate e controllanti deve essere valutato in base al valore normale, in altre parole in base la prezzo che sarebbe stato applicato tra imprese terze ed indipendenti tra loro. Questo aspetto assume particolare rilievo in quanto si tratta di una condizione a cui gli organi di accertamento e controllo attribuiscono un rilievo sempre maggiore.

La disciplina è particolarmente complessa e richiede, nella maggior parte dei casi uno studio approfondito dei beni e servizi scambiati, dei mercati di riferimento, degli eventuali competitors presenti sul mercato e di altri fattori specifici per settore merceologico. Di norma, per le imprese che operano in diversi mercati attraverso proprie partecipate, è prevista la predisposizione di un master file e di una Documentazione Nazionale per ciascuna singola partecipata. Da quanto sopra, emerge che la scelta tra operare in un determinato Paese attraverso una branch o una partecipata dipende da vari fattori. Tuttavia è possibile affermare che la scelta più consona sia quella di operare attraverso una società partecipata, circostanza che consente di poter differire (tax deferral) l’imposizione in Italia degli utili prodotti al momento della loro effettiva distribuzione e beneficiando di una tassazione limitata (1,375%).

Tuttavia, nel caso in cui l’attività debba essere svolta in un Paese a fiscalità privilegiata, è necessario che si possa, attraverso apposita istanza di interpello, dimostrare di poter beneficiare di una delle esimenti previste dal più volte citato articolo 167 Tuir.

Per completezza, si evidenzia, infine, che l’eventuale dividendo distribuito dalla società residente in territorio offshore alla propria partecipante italiana è soggetto, in base a quanto disposto degli accordi contro le Doppie Imposizioni conclusi tra l’Italia e il paese – mercato di riferimento ad una ritenuta alla fonte pari al

  • 5% nel caso in cui la partecipazione detenuta dalla società sia almeno pari al 25% del capitale della società che paga i dividendi, ovvero
  • 15% negli altri casi.

Non è prevista, invece, alcuna ritenuta o prelievo fiscale sugli interessi eventualmente corrisposti da una società partecipata ad una società partecipante (e viceversa) ad eccezione del caso in cui l’importo degli interessi non sia stato determinato secondo i canoni che sarebbero stati applicati in mancanza di relazioni partecipative tra soggetto creditore e soggetto debitore.

E’ opportuno ribadire che con particolare riferimento alla possibilità di ottenere risposta affermativa all’istanza di interpello disapplicativo e alla disciplina dei prezzi di trasferimento, la materia risulta particolarmente delicata e complessa, richiedendo un esame specifico caso per caso.

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