27 Gen La Cassazione torna sul danno riflesso patito dai prossimi congiunti del danneggiato
Quando un soggetto subisca lesioni da cui derivino gravi postumi invalidanti, può accadere che tali circostanze arrechino sconvolgimenti nelle abitudini di vita e/o un danni di natura psicologica ai prossimi congiunti che si occupano di assistere il danneggiato. In tal caso, si parla del c.d. “danno riflesso”.
La giurisprudenza ha più volte affermato la risarcibilità di tale danno, nonché la possibilità di desumerne l’esistenza anche soltanto in virtù della gravita delle lesioni patite dal congiunto, e dunque senza particolari oneri probatori a carico dei congiunti.
Con la sentenza n. 28220 del 4.11.2019, la Corte di Cassazione è tornata in argomento, fornendo alcuni utili chiarimenti. Nel caso di specie, i congiunti avevano visto respingere le proprie pretese risarcitorie per “danno riflesso” in quanto familiari conviventi della vittima e dunque, secondo i giudici della Corte di Appello, l’assistenza prestata rientrerebbe nell’ambito del rapporto di solidarietà “familiare” e non sussisterebbe un danno risarcibile.
La Corte di Cassazione ha censurato tale impostazione, osservando invece che: “deve considerarsi – al contrario – che un’invalidità parzialmente invalidante possa comportare, oltre al dolore per la menomazione del congiunto, anche la necessità di un impegno di assistenza (e, quindi, un apprezzabile mutamento peggiorativo delle abitudini di vita di chi la presti) a carico degli stretti congiunti”.
Sostanzialmente, a nulla rileva il fatto che sussistano rapporti familiari tra la vittima assistita e il congiunto, poiché quest’ultimo si può vedere costretto ad adattare le proprie esigenze di vita a quelle del menomato. Viene poi confermato che il danno riflesso può desumersi anche da mere presunzioni (in caso di lesioni molto gravi), e che può essere provato con la prova testimoniale, ove essa fornisca elementi idonei ad apprezzare l’esistenza e l’entità del sacrificio imposto dalla malattia ai familiari.
Ne deriva che i giudici, prima di respingere eventuali richieste di prove testimoniali sul punto, devono verificare se i capitoli articolati risultino in effetti rilevanti o meno, ai fini della prova del pregiudizio patito dai congiunti.
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