27 Giu La controversia sulla mediaconciliazione obbligatoria
Con il decreto legislativo n. 69 del 21 giugno 2013 si reintroduce, insieme a varie misure urgenti per rilanciare il Paese, la mediazione civile e commerciale obbligatoria.
L’obbligatorietà della mediazione era già stata prevista nel 2009, ma la Corte Costituzionale ne aveva dichiarato l’incostituzionalità per eccesso di delega legislativa con la sentenza n. 272/2012.
Questo recente decreto, chiamato “del fare”, ha suscitato posizioni contrapposte tra gli stessi avvocati e ha dato origine a un’accesa polemica sulla necessità e soprattutto sulla legittimità del provvedimento.
In questo senso l’Associazione Nazionale degli Avvocati Italiani (Anai), di cui Maurizio De Tilla è il Presidente, si schiera contro la mediaconciliazione obbligatoria, evidenziando i numerosi motivi di incostituzionalità.
Il primo motivo a cui adduce l’associazione è la mancanza di indipendenza, di professionalità e di trasparenza delle Camere di conciliazione private, a seguire la mancanza di specializzazione, qualificazione e perizia nelle figure dei mediatori.
Non meno importante sono la questione economica dell’obbligatorietà e la mancanza di criteri di competenza territoriale: qualsiasi esborso per una mediaconciliazione coercitiva è considerato illegittimo e il chiamato dovrebbe avere diritto a potersi difendere in una posizione vicina al proprio domicilio.
Lorenza Morello, Presidente nazionale Avvocati per la mediazione (Apm), replica: ”Per quanto riguarda l’irragionevole durata del processo, ricordo al presidente De Tilla che è proprio la cattiva giustizia ordinaria che fa condannare l’Italia per una sanzione pari a un punto di Pil, e di questo non può certo essere tacciata la mediazione che, invece, si ripropone di chiudere un conflitto in 4 mesi laddove per una sentenza definitiva in sede civile in Italia si attendono in media 10 anni”.
La Morello evidenzia che la mediazione risolverebbe anche lo spinoso problema degli investitori esteri che rinunciano a portare investimenti in Italia a causa delle lungaggini processuali incompatibili con un business avanzato.
Inoltre la Presidente precisa che la mancanza di competenza territoriale non è un aggravio per il soggetto in mediazione, ma una facilitazione in quanto questo potrà raggiungere il centro di mediazione più vicino al proprio domicilio, cosa impossibile invece nel rito processuale ordinario.
Solo su un punto la Morello è d’accordo con l’Anai: la mancanza di professionalità della figura del mediatore. La mediazione è infatti un istituto che deve essere studiato, conosciuto e praticato e in quanto tale il titolo di mediatore non dovrebbe essere attribuito di diritto agli avvocati, che devono comunque essere in possesso dei requisiti specifici richiesti.
No Comments