03 Giu Le Sezioni Unite salvano la clausola Claims Made: non è vessatoria
Nella tecnica assicurativa è molto diffusa la prassi di inserire nelle polizze per la responsabilità civile – soprattutto in quelle per la responsabilità professionale – la c.d. clausola claims made.
Semplificando al massimo il concetto, si può dire che tale pattuizione subordina l’operatività della garanzia alla circostanza che il fatto illecito e la richiesta di risarcimento del danno da parte del terzo danneggiato, avvengano entro il periodo di efficacia del contratto, oppure, entro determinati periodi di tempo che vengono individuati specificatamente in polizza.
Questa clausola, molto utilizzata in sede di stipula delle polizze per la responsabilità civile dei medici (ma non solo), è stata spesso ritenuta vessatoria dalla giurisprudenza, in quanto si è ritenuto che essa preveda una inammissibile limitazione di responsabilità dell’assicuratore.
Pochi giorni fa tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016, hanno chiarito che la claims made non è affatto vessatoria, trattandosi di una clausola che serve alla determinazione dell’oggetto della garanzia assicurativa ed essendo essa liberamente concordabile tra cliente ed assicuratore.
In particolare, gli ermellini hanno sottolineato che: “si ha delimitazione dell’oggetto quando la clausola negoziale ha lo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, mentre è delimitativa di responsabilità quella che ha l’effetto di escludere una responsabilità”, “il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità”.
Questione definitivamente chiusa dunque? Non proprio.
Infatti le Sezioni Unite hanno altresì aggiunto che la clausola, pur non vessatoria, potrebbe invece essere dichiarata nulla sotto il profilo della “mancanza di meritevolezza”.
Purtroppo la Cassazione non ha poi fornito alcun indice idoneo a descrivere concretamente questo concetto di “immeritevolezza”, limitandosi invece a dichiarare che qualsivoglia indagine deve essere condotta in concreto, con riferimento cioè alla fattispecie di volta in volta valutata dal giudice.
In futuro potrebbero dunque aprirsi nuove diatribe giudiziarie volte a stabilire la ricorrenza o meno di questo requisito di “meritevolezza” che, presumibilmente, i,pegnerà nuovamente in futuro la Corte.
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