14 Set L’infortunio non può essere addebitabile se la situazione di pericolo rientra nel rischio generico proprio dei luoghi
Con sentenza n. 1440 del 2011, in riforma del Tribunale di Roma, la Corte di secondo grado accoglieva la richiesta di un danneggiato, volta ad ottenere il risarcimento delle lesioni residuate a seguito di una caduta a bordo di una piscina a causa di “acqua e un liquido scivoloso“, riconoscendo la violazione del principio del neminem laedere.
Alla sentenza di condanna della Corte, con liquidazione del risarcimento del danno, segue il ricorso in cassazione notificato dal Ministero dell’Interno e dal Fondo di Assistenza del personale della Polizia di Stato, gestori della piscina del centro sportivo.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9009 del 2015, cassa con rinvio la decisione della Corte d’appello, rigettando ogni richiesta di risarcimento, ritenendo, in primo luogo, priva di prova certa ed incontrovertibile la dinamica della caduta e la presenza di sostanze non visibili o rilevabili con la normale diligenza.
Da evidenziare è che la Corte di Cassazione, sottolineando l’obiettiva carenza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il Giudice di appello, sulla base degli elementi acquisiti dall’altra testimonianza, a un convincimento opposto a quello del giudice di prime cure sui punti nodali della controversia, specifica che “il rischio di scivolare sul bordo di una piscina, trattandosi di una superficie normalmente bagnata proprio a ragione dell’attività che vi si svolge, va doverosamente calcolato ed evitato (ad es. utilizzando calzature adeguate e comunque adeguandosi alla massima prudenza), non potendosi poi invocare, una volta che una caduta dannosa si è verificata, come fonte di responsabilità l’esistenza di una situazione di pericolo che rientra nel rischio generico proprio dei luoghi, evitabile in base a una condotta normalmente diligente”.
La sentenza impugnata viene, dunque, cassata con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione, per una nuova valutazione dei fatti dedotti in giudizio, sopperendo al rilevato deficit motivazionale e facendo applicazione dei seguenti principi di diritto.
In definitiva – ribadisce la Corte di cassazione – allorquando venga invocata la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c., grava sul danneggiato l’onere di provare l’elemento oggettivo, cioè l’anomalia dello stato dei luoghi, in grado di integrare, se non gli estremi della c.d. insidia o trabocchetto, comunque una condotta colposa (o dolosa) della parte convenuta.
Inoltre – precisa la Corte – anche in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 c.c., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste anche quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può atteggiarsi a concorso causale colposo ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno.
In particolare, se la situazione di possibile pericolo può essere prevista e superata con l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, allora si può ritenere che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso e che l’incidente sia conseguenza esclusiva del comportamento imprudente del danneggiato.
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