07 Ago L’insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento alle disposizioni dei superiori.

E’ quanto stabilito da recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato al lavoratore che aveva minacciato verbalmente ed al di fuori dell’orario di lavoro la responsabile dell’amministrazione nel corso di una discussione sorta per futili motivi.

Con la sentenza n. 13411 del 01/07/2020 gli Ermellini hanno, infatti, stabilito che integra insubordinazione la violazione di qualsivoglia dovere posto in capo al lavoratore non potendo la stessa essere limitata semplicemente al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori.

In particolare, evidenzia la Suprema Corte che il concetto di “insubordinazione” va determinato anche alla stregua dell’accezione lessicale e del significato del termine nel linguaggio giuridico ed in quello corrente.

Pertanto, la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale (cfr. Cass. n. 3521 del 1984 e n.5804 del 1987 e, da ultimo, Cass. n. 7795 del 2017).

E’, dunque, erronea in diritto la tesi per cui l’insubordinazione dovrebbe essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici in quanto la violazione dei doveri del prestatore riguarda non solo la diligenza in rapporto alla natura della prestazione, ma anche l’inosservanza delle disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore o dai suoi collaboratori (art. 2104 cod. civ.).

Nel caso di specie, la condotta contestata, seppure realizzatasi al di fuori dell’orario di lavoro, era stata tenuta dal lavoratore in locali aziendali, si era rivolta in danno di una dipendente che, nel contesto organizzativo de quo, era preposta a rappresentare l’azienda in veste di responsabile amministrativo e la vicenda aveva riguardato aspetti che afferivano, in ogni caso, all’osservanza di disposizioni interne dettate dal datore di lavoro circa l’uso di beni aziendali.

Ragioni queste per cui -precisa la Corte- non è pertinente il richiamo operato alla giurisprudenza avente ad oggetto comportamenti extralavorativi tenuti dal dipendente, dovendosi – ad ogni buon conto – evidenziare come anche il carattere extralavorativo di un comportamento non ne precluda in via generale la sanzionabilità in sede disciplinare, in quanto gli artt. 2104 e 2105 cad. civ. – richiamati della disposizione dell’art. 2106 cod. civ. relativa alle sanzioni disciplinari – non vanno interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore si estenda anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare rapporto di lavoro.

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