17 Dic Mobbing dei dipendenti: il datore di lavoro è responsabile laddove non protegga la serenità del lavoratore dagli atteggiamenti vessatori dei colleghi

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, nella sentenza 20 novembre 2019 – 4 dicembre 2020, n. 27913

 

Nel caso in esame il giudice di primo grado aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato ad una lavoratrice mobbizzata, disponendo la reintegrazione della stessa nel luogo di lavoro e condannando la società datrice al pagamento dell’indennità risarcitoria dal licenziamento sino alla effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi maturati e maturandi.

La Corte d’Appello, nel confermare la sentenza impugnata, condannava, altresì, la società al pagamento, in favore della lavoratrice, di una somma a titolo di risarcimento del danno da invalidità temporanea conseguente al mobbing.

In particolare, il giudice dell’appello sottolineava che gli atteggiamenti e i comportamenti tenuti dai dipendenti nei confronti della lavoratrice erano stati idonei ad integrare la fattispecie di mobbing ricorrendo, nel caso di specie, tanto il requisito oggettivo quanto quello soggettivo concretizzatisi rispettivamente nella quotidianità delle offese e dei rimproveri ingiustificati con cui i dipendenti mortificavano la lavoratrice (il primo) e nell’offensività dei termini utilizzati e delle accuse assolutamente infondate dirette alla lavoratrice (il secondo).

Deduceva, inoltre, sul punto la Corte che il legale rappresentate dell’azienda datrice, nonostante fosse stato prontamente messo al corrente degli episodi, non abbia voluto né indagare a fondo la questione né attuare provvedimenti disciplinari idonei a tutelare la situazione problematica prospettatagli dalla ricorrente.

Avverso la predetta sentenza ricorreva per Cassazione il datore di lavoro.

Il giudice di legittimità con la sentenza in commento, nel confermare quanto statuito dalla Corte d’Appello, rigetta il ricorso, osservando come il giudice del merito abbia correttamente rilevato che “nel caso in esame, sebbene il datore di lavoro non si sia reso protagonista diretto delle condotte vessatorie subite dalla lavoratrice, tuttavia, lo stesso non può andare esente da responsabilità rispetto ai propri obblighi di tutela previsti dall’ art. 2087 cc”. 

Nel dettaglio gli Ermellini affermano che il datore di lavoro è obbligato a predisporre tutte le misure necessarie a preservare i propri dipendenti dalla lesione della loro integrità psico-fisica che possa avvenire nell’ambiente o in costanza di lavoro, anche in relazione ad eventi che non siano collegati direttamente alle condotte dell’imprenditore.

Secondo i Giudici di legittimità, sotto questo punto di vista, il datore di lavoro ha, infatti, un ruolo di vero e proprio garante, in forza di quanto previsto dalla Costituzione.

In particolare si legge: la mancata predisposizione di tutti i dispositivi atti a tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro viola l’art. 32 Cost., che garantisce il diritto alla salute come primario ed originario dell’individuo, ed altresì l’art. 2087 c.c., che, imponendo la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore da parte del datore di lavoro prevede un obbligo, da parte di quest’ultimo, che non si esaurisce “nell’adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico”, ma attiene anche – e soprattutto – alla predisposizione “di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio”.

Tale interpretazione estensiva della citata norma del codice civile si giustifica, conclude la Cassazione, alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute – ex art. 32 Cost. – sia per il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio – ex artt. 1175 e 1375 cc – sia, infine, “pur se nell’ambito della generica responsabilità extracontrattuale” ex art. 2043 cc in tema di neminem laedere” (secondo cui è da considerare responsabile il soggetto che, pur consapevole del pericolo cui è esposto l’altrui diritto, ometta di intervenire per impedire l’evento dannoso).

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.