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16 Feb Non costituisce reato l’installazione di un impianto di videosorveglianza quando ha come unico scopo il controllo del patrimonio aziendale
È quanto statuito dalla Suprema Corte con sentenza n. 3255/2021.
Alla base della pronuncia una vicenda in cui il Tribunale di Viterbo aveva dichiarato un soggetto colpevole di cui agli articoli 4 – primo e secondo comma – e 38 della legge 300/1970 e gli aveva irrogato la pena di 200 euro di ammenda, previa concessione delle attenuanti generiche.
Secondo quanto ricostruito dal Tribunale l’imputato, quale titolare di una ditta esercente l’attività di commercio al dettaglio, aveva installato impianti video all’interno dell’azienda utilizzabili per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver chiesto l’accordo delle rappresentanze sindacali aziendali o dell’Ispettorato.
Avverso la condanna inflittagli l’imputato ricorre in cassazione, deducendo che gli impianti video installati non erano strumenti di controllo lesivi della libertà e dignità dei lavoratori, bensì sistemi difensivi posti a tutela del patrimonio aziendale.
Gli Ermellini, ribaltando la pronuncia impugnata ed in accoglimento del ricorso, statuiscono che deve escludersi la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 legge 20 maggio 1970, n. 300, quando l’impianto audiovisivo e di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordi con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.
Nel fornire detta interpretazione in ordine all’ambito di applicazione del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 legge 20 maggio 1970, n. 300 la Suprema Corte evidenzia le lacune della motivazione della sentenza impugnata già denunciate nel ricorso.
Evidenziano sul punto gli Ermellini che: “II Tribunale, in effetti, ha affermato la penale responsabilità del ricorrente osservando che nell’esercizio commerciale del medesimo era installato un sistema di videosorveglianza dei lavoratori non concordato con i sindacati, nè altrimenti autorizzato, ma anche riportando, senza alcun esame critico, le dichiarazioni testimoniali della moglie dell’imputato, secondo cui l’impianto era stato posizionato a seguito del rilievo di mancanze di merci, ed era rivolto solo verso la cassa e le scaffalature”.
Dal che ne deriva che la decisione oggetto di ricorso non ha chiarito se l’installazione del sistema di videosorveglianza rilevato fosse strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale nè se l’utilizzo del precisato impianto comportasse un controllo non occasionale sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o, comunque, dovesse restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite di questi ultimi.
Per i Giudici di legittimità, tale bilanciamento trova il conforto anche della giurisprudenza comunitaria, secondo cui il rispetto della privacy dei lavoratori deve essere contemperato – nel rispetto del principio di proporzionalità – con il diritto dell’imprenditore alla tutela del patrimonio aziendale.
La sentenza impugnata è stata, quindi, annullata con rinvio affinchè il nuovo Giudice accerti, compiendo tutte le indagini ritenute necessarie, se l’installazione del sistema di videosorveglianza riscontrato dagli Ispettori del Lavoro fosse strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale e non implicasse un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività dei dipendenti, a meno che lo stesso non sia stato installato per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite poste in essere dai lavoratori.
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