10 Ago Non è sempre colpa del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, con la sentenza emessa dalla Sezione Lavoro, n. 6881 del 3 aprile 2015, interviene sulla delicata questione degli infortuni di lavoro di cui all’art. 2087 c.c., ribadendo, come “più volte affermato”, che non si può ipotizzare la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che si verifica un infortunio ad un lavoratore, perché non sussiste l’obbligo – del datore di lavoro – di rispettare ogni cautela, possibile e innominata, diretta ad evitare ogni danno.
La decisione della Corte trae origine dall’azione di risarcimento promossa dalla dipendente di una Banca, la quale, nello svolgere la propria attività di cassiera, si chinava per raccogliere un foglio fuoriuscito dalla stampante e sbatteva il capo contro un cassetto, riportando gravi lesioni, con postumi permanenti.
Ritenendo che l’infortunio fosse da addebitare alla mancata predisposizione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, la cassiera incardinava azione nei confronti della Banca, quale proprio datore di lavoro, per il risarcimento della riduzione della capacità lavorativa generica, della perdita di chance e del danno biologico, detratto quanto non risarcito dall’INAIL.
Il Tribunale di primo grado, pur ritenendo che la Banca non avesse provato l’esistenza di cause di esonero della responsabilità, riteneva satisfattivo il risarcimento già percepito dall’attrice e respingeva la domanda; il giudice di appello respingeva parimenti la domanda, ma accoglieva l’eccezione riproposta dalla Banca, specificando che l’infortunio non poteva ricollegarsi alla mancata predisposizione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, in assenza di responsabilità oggettiva.
La Cassazione, nel sottolineare che la Corte di merito decideva la causa con motivazione congrua, coerente e priva di vizi logici e giuridici, rigetta definitivamente la domanda della dipendente, fondata sui seguenti presupposti:
1) le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso;
2) non può comportare alcun effetto esimente per l’imprenditore l’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta del lavoratore presenti i caratteri della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza;
3) le modalità dell’infortunio denotano che il datore di lavoro non poneva in essere le doverose cautele e misure di prevenzione atte a scongiurare l’evento dannoso.
A queste motivazioni, evidenziando l’assenza di prova della ricorrente delle specifiche misure di prevenzione che la Banca avrebbe dovuto adottare per impedire l’evento dannoso, la Corte così definitivamente obietta: “dal dovere di prevenzione, imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l’evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati”.
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