25 Apr Revenge porn e tutela civilistica

L’art. 612 ter sancisce: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.

Il tema del consenso, come emerge anche dal disposto dell’art. 612 ter, rappresenta il cuore della disciplina relativa alla tutela del diritto all’immagine ed alla riservatezza della persona. Preliminarmente si consideri quanto disposto dalla Legge 633/1941 che, nonostante preveda norme relative alla tutela del diritto d’autore, agli artt. 96 e 97 qualifica il consenso del soggetto rappresentato in un’immagine, quale elemento imprescindibile e necessario ai fini della diffusione di quest’ultima.

Il Codice Civile del 1942 all’art. 10 ha introdotto uno strumento di tutela dello stesso diritto all’immagine, ed infatti tale norma sancisce: “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il  risarcimento dei danni”. Ai sensi della richiamata disciplina, la mancata prestazione del consenso da parte del soggetto raffigurato non rappresenta l’unico elemento di impedimento alla diffusione dell’immagine, proprio perché un ulteriore limite è rappresentato dal pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona e dei congiunti.

Previsione normativa similare è contenuta nell’art. 96 della Legge sul diritto d’autore che sancisce il principio ai sensi del quale il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salvo alcune eccezioni relative al caso in cui la notorietà o il pubblico ufficio ricoperto giustifichino la riproduzione dell’immagine, necessità di giustizia o polizia, scopi scientifici, didattici o culturali,  o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svolti in pubblico. Il secondo comma dell’art. 97 afferma inoltre: “Il ritratto non possa essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona trattata”. Pertanto, in mancanza del consenso dell’interessato, la diffusione di immagini raffiguranti quest’ultimo è lecita e legittima soltanto qualora trovi la propria ratio nella tutela di un interesse pubblico prevalente (rispetto alla tutela del diritto all’immagine e alla riservatezza di un soggetto) quale, quello relativo alla pubblica informazione.

In merito alla forma ed alle modalità di prestazione del consenso, è necessario richiamare la pronuncia della Corte di Cassazione n. 1748/2016 che, in merito, ha statuito: “Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione”.

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