21 Lug Ritardata valutazione pensionistica: il danno non è in re ipsa
Al riconoscimento in ritardo da parte dell’INPS della pensione di anzianità non consegue sic et simpliciter un danno in re ipsa in quanto occorre necessariamente la prova del pregiudizio sofferto.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 4886 del 24 febbraio 2020 con la quale gli Ermellini hanno rigettato il ricorso di un dipendente che, avendo subito dall’INPS un ritardo nel riconoscimento della propria pensione, riteneva di aver subito un danno economico derivante proprio dal mancato godimento della pensione e della sua rivalutazione.
Lamentava altresì il ricorrente di non aver potuto adottare una legittima scelta di vita con lesione di diritti costituzionalmente garantiti quali quelli alla salute e alla pensione.
Ha ritenuto invece la Suprema Corte che qualora il lavoratore, a causa dell’illegittimo diniego della domanda di pensionamento, sia costretto a protrarre la propria attività lavorativa, può in effetti configurarsi un danno non patrimoniale risarcibile determinato proprio dalle ripercussioni di segno negativo conseguenti alla condotta dell’Ente previdenziale che ha causato la lesione di specifici interessi costituzionalmente protetti.
Tuttavia, incombe sempre sul lavoratore dimostrare, oltre alla colpa dell’INPS, che il ritardato pensionamento ha provocato un danno.
Infatti, secondo i principi del nostro ordinamento giuridico non può configurarsi un danno risarcibile in re ipsa in ragione degli imprescindibili oneri di allegazione e di prova che gravano sul soggetto che vanti pretese risarcitorie.
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