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05 Gen Spese legali legittimamente negate se assicurato sceglie l’avvocato.
E’ quanto statuito dalla Suprema corte di Cassazione con sentenza n. 4202/2020 secondo cui deve ritenersi conforme al dato normativo di cui all’art. 1917, comma 3, cc il rifiuto opposto dall’assicurazione alla richiesta di rimborso formulata dall’assicurato nel caso in cui lo stesso assicurato abbia scelto di non avvalersi del patto di gestione della lite.
Il fatto sotteso alla vicenda de quo ha ad oggetto la responsabilità medica di un odontoiatra che veniva citato in giudizio da un paziente.
Il medico si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle avverse domande, agiva in via riconvenzionale per ottenere la condanna degli attori al pagamento dei compensi dovuti e chiedeva e otteneva di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice per esserne manlevata.
L’adito Tribunale accoglieva la domanda principale e rigettava quella riconvenzionale, condannando l’assicurazione chiamata in causa a tenere indenne la convenuta delle somme da questa dovute agli attori a titolo di risarcimento del danno, rigettando, invece la domanda con cui il medico aveva chiesto la condanna della compagnia assicuratrice anche al rimborso, ai sensi dell’art. 1917, comma 3, cc delle spese sostenute per la propria difesa tecnica in giudizio.
Decisione questa puntualmente confermata dalla Corte d’Appello adita dal professionista la quale rigettava l’appello sul presupposto che le condizioni generali di contratto prevedevano il pagamento delle spese legali solo in relazione ad avvocati designati dall’assicurazione, mentre nel caso di specie il professionista si era avvalso di un altro legale di fiducia.
Avverso tale sentenza il professionista proponeva ricorso per cassazione.
Gli Ermellini, nel dichiarare improcedibile il ricorso, hanno osservato che la clausola contrattuale che esclude l’obbligo per l’assicuratore di rimborsare le spese di resistenza sostenute dall’assicurato non si pone in contrasto con la previsione di cui all’art. 1917, 3^ c, cod. civ. (che, come noto, pone a carico dell’assicuratore le spese c.d. di resistenza in giudizio sostenute dall’assicurato) dal momento che con esso si realizza, comunque, lo scopo voluto dalla norma, che è quello, per l’appunto, di tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in giudizio.
Ciò posto la Suprema Corte ha chiarito che, per giustificare il rimborso delle spese di lite, non è sufficiente l’astratta previsione del patto di gestione della lite, all’interno del regolamento contrattuale assicurativo, «ma occorre che di tale patto le parti abbiano anche manifestato la volontà di avvalersi e di renderlo concretamente operante», ad esempio, con l’assunzione diretta da parte della compagnia della difesa legale dell’assicurato.
Ebbene, nel caso in esame, è incontestato che il professionista abbia deciso di non avvalersi della clausola de quo e, da tale scelta, perfettamente legittima, non può che discendere l’inoperatività del diritto al rimborso.
Diversamente, ritiene la Suprema Corte, accertare se la società avesse o meno esercitato la facoltà di gestire in via esclusiva la lite è «reso superfluo dall’alternativo e assorbente accertamento della volontà dello stesso assicurato di non avvalersi del patto».
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