15 Lug Videosorveglianza sui luoghi di lavoro: il consenso dei lavoratori non basta.

E’ quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 50919 del 17 dicembre 2019.

Come noto, infatti, sebbene al datore di lavoro non sia fatto divieto assoluto di istallare le telecamere sui luoghi di lavoro è, altresì, vero che le apparecchiature di videosorveglianza possono essere installate nei locali aziendali solo nel rispetto della procedura prevista dall’art. 4 della L. n. 300/1970 (cd. “Statuto dei Lavoratori”).

Il tutto con la naturale conseguenza che a nulla rileva l’eventuale consenso rilasciato per iscritto da tutti i lavoratori con l’informazione della presenza delle telecamere; né, tanto meno, tale pratica potrà essere considerata idonea a sanare l’illecito del datore di lavoro che non ha seguito l’iter stabilito dalla legge.

E’ da ritenersi, infatti, inderogabile quanto previsto dal predetto articolo in ordine al corretto e legittimo iter di istallazione ed utilizzo delle apparecchiature audiovisive il quale espressamente sancisce che soltanto le rappresentanze dei lavoratori o, in alternativa, l’Ispettorato territoriale del lavoro – attraverso il proprio provvedimento – sono deputati ad esprimere detto consenso.

La ratio della norma risiede nel fatto che i lavoratori interessati sono da considerarsi “parte debole” nel rapporto e, quindi, il loro consenso, in qualsiasi forma sia stato prestato, non può sostituire l’obbligo da parte delle aziende di dover avviare le pratiche per l’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale; unici strumenti, questi, che rendono legittima la condotta datoriale mandando esente da responsabilità il datore di lavoro.

Ed infatti, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata.

In definitiva, conclude la Cassazione, il consenso o l’acquiescenza che il lavoratore potrebbe, in ipotesi, prestare o avere prestato, non svolge alcuna funzione esimente; in questo caso, infatti, oggetto della tutela è l’interesse collettivo che, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporre, rimane fuori della teoria del consenso dell’avente diritto.

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